fbpx

Il coniuge separato può accedere alla documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale del proprio ex tramite istanza di accesso agli atti presso l’Agenzia delle Entrate ?

No. Questo diritto non spetta (almeno secondo il Tar Milano con sentenza n. 2023 del 2018).

L’ex moglie aveva presentato una richiesta di accesso agli atti presso l’Agenzia delle Entrate che aveva risposto negativamente, adducendo ragioni di riservatezza e l’assenza di autorizzazione preventiva da parte del Giudice civile competente ai sensi dell’art. 155-sexies disp. att. c.p.c. Tale norma dispone che la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare si applica anche per la ricostruzione dell’attivo e del passivo nell’ambito di procedimenti in materia di famiglia. Quando di tali disposizioni ci si avvale nell’ambito di procedimenti in materia di famiglia, l’autorizzazione spetta al giudice del procedimento.

Secondo il Tar, la regola generale è in effetti quella dell’accesso agli atti. Però tale regola non trova applicazione in alcune ipotesi espressamente contemplate dalla legge: “Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6” (art. 22, comma 3, l. 241/90).” Tale norma individua talune ipotesi eccettuative alla applicazione della generale disciplina in tema di accesso; in particolare, l’art. 24, comma 6, l. 241/90 fonda la potestas regolamentare di individuazione dei casi di sottrazione all’accesso “quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche (…) con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorchè i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono”. Il DM 29 ottobre 1996, n. 603 riconduce nell’alveo dei documenti sottratti all’accesso la “documentazione finanziaria, economica, patrimoniale e tecnica di persone fisiche (…) comunque acquisita ai fini dell’attività amministrativa” (art. 5, comma 1, lett. a)).

E, tuttavia, anche le ipotesi in cui viene generalmente escluso il diritto di accesso soffrono, a loro volta, di un caso eccettuativo avente natura, per così dire, residuale: il diritto di difesa.

L’art. 24, comma 7, l. 241/90 prescrive infatti che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici” (in senso analogo: art. 5, comma 1, DM 603/96).

Le prerogative difensive, indefettibilmente garantite in sede giurisdizionale o procedimentale dai principi costituzionali (artt. 24, 97, 111 e 113 Cost.) nonché dalle disposizioni della CEDU (art. 6) e dalla Carta di Nizza (art. 47), devono indefettibilmente essere garantite.

Di talchè, allorquando la conoscenza di atti sia necessaria all’esercizio di dette prerogative (che altrimenti non potrebbero esplicarsi, in tutto o in parte), l’interesse alla riservatezza ovvero alla protezione dei dati personali (ovvero gli altri, diversi, interessi sottesi ai casi di limitazione o esclusione del diritto di accesso, ivi compreso quello sopra citato a titolo esemplificativo, e relativo alla segretezza della azione delle Autorità indipendenti) recede, determinando la “riespansione” della regola generale costituita dalla ostensibilità degli atti.

Orbene, nella situazione in questione i documenti in rilievo, acquisiti dall’Agenzia delle Entrate nell’esercizio delle proprie funzioni di vigilanza e controllo in materia finanziaria e tributaria, sono sottratti all’accesso per ragioni di tutela della riservatezza del soggetto cui afferiscono.

Una deroga a tale regola potrebbe giustificarsi solo in presenza della stretta necessità, ovvero indispensabilità, di acquisire detti atti per difendersi nel giudizio di separazione.

E’ tale rapporto di stretta necessarietà e/o indispensabilità tra l’interesse conoscitivo e il diritto di difesa a mancare nel caso di specie: le esigenze difensive dell’ex coniuge interessato sono in realtà adeguatamente tutelate nell’ambito della lite civile.

E ciò perché nel giudizio civile di separazione quegli stessi documenti sono conoscibili, attraverso gli specifici strumenti processuali contemplati dall’ordinamento, per cui:

– “se le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi” (art. 337-ter c..c., u.c.);

– il Giudice può concedere l’autorizzazione (art. 155-sexies, disp. att. c.p.c. e 492-bis, c.p.c.) affinchè “l’ufficiale giudiziario acceda mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, e in quelle degli enti previdenziali, per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti (…) comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti”.

A tali disposizioni speciali si affiancano, di poi, gli ordinari strumenti “ad exhibendum” contemplati dagli artt. 211 e 213 c.p.c., disciplinanti l’ordine di esibizione nei confronti del terzi e la richiesta di informazioni alla P.A..

Il diritto di difesa invocato dall’ex coniuge a giustificazione dell’accesso è esplicabile nell’ambito del giudizio civile, anche sub specie di acquisizione dei documenti per cui è causa; e ciò proprio al fine di disvelare la situazione economica e patrimoniale necessaria alla retta e consapevole quantificazione dell’assegno di mantenimento per sé e per la prole (artt. 156, comma 2, e 337-ter, u.c., c.c.), in tal modo soddisfacendo in forma specifica e diretta la situazione giuridica alla cui tutela giudiziale l’interesse ostensivo è strumentale.

Dalla acclarata possibilità di esplicare pienamente tale diritto derivano queste conseguenze:

– la inesistenza della ipotesi residuale contemplata all’art. 24, comma 7, l. 241/90, cioè la inesistenza dei requisiti della necessità ed indispensabilità dell’accesso, intesi quale impossibilità di soddisfare l’interesse alla conoscenza di determinati documenti in altro modo, mediante gli ordinari strumenti, sostanziali e processuali, approntati dall’ordinamento;

– la inesistenza, dunque, della condizione che ex lege è necessaria per deflettere dal regime della segretezza

– la applicazione del regime “ordinario” –non derogato, cioè, da indefettibili e necessarie ragioni di difesa- di esclusione del diritto di accesso.

Il bilanciamento dei contrapposti interessi (tutela delle ragioni nel processo; interesse alla protezione dei dati personali) è, dunque, demandato dal codice di rito esclusivamente al Giudice del processo civile.

Sotto altro profilo, il Tar ha rimarcato che il diritto di difesa invocato nella fattispecie deve esplicarsi secondo le regole del processo civile, nel rispetto del principio del contraddittorio e della parità delle armi tra le parti, anche nella fase di istruzione e di acquisizione dei documenti (artt. 24, 111 Cost.; art. 6 CEDU; art. 47 Carta UE; art. 101 c.p.c.).

E’ evidente che le esigenze di tutela giurisdizionale devono essere soddisfatte secondo le norme del giusto processo, tenendo in debita considerazione la posizione della controparte; esse non possono in alcun modo costituire il “grimaldello -” per la elusione di principi fondamentali dell’ordinamento, nazionale sovranazionale, quale quello del contraddittorio, consentendo di acquisire in sede amministrativa, ab externo ed in dispregio delle regole processuali, documenti idonei ad influire sul (o a refluire nel) giudizio.

Il diritto di difesa di una parte termina ove ha inizio quello della controparte: al Giudice della lite spetta governare il contraddittorio e assicurare la parità delle armi tra i contendenti.

Avv. Vittorio Fiasconaro