fbpx

Chi ha paura del Tonno Rosso ?

In difesa della pesca artigianale

Gli interventi internazionali e comunitari hanno limitato la pesca del tonno rosso al fine di renderla compatibile con le esigenze di salvaguardia della specie, per cui è sorta la necessità di contingentare i quantitativi di pesca del tonno rosso tra i diversi Stati interessati e, poi, di distribuire la quota assegnata a livello nazionale (TAC) tra i vari sistemi di pesca.

La Convenzione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico, firmata a Rio de Janeiro il 14 maggio 1966, comprende tutte le acque dell’Oceano Atlantico e dei mari adiacenti e la realizzazione degli obiettivi in essa previsti è affidata ad una Commissione appositamente costituita, denominata Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi (ICCAT), la quale formula, tra l’altro, raccomandazioni intese a mantenere le popolazioni di tonnidi e di specie affini che possono essere pescate nella zona della Convenzione a livelli che consentano le catture massimi sostenibili per scopi alimentari ed altri fini.

La raccomandazione adottata dalla Commissione entra in vigore decorsi sei mesi dalla sua notifica alle parti contraenti ed è vincolante per le parti medesime.

Il piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso adottato dall’ICCAT è stato recepito dall’Unione europea mediante il regolamento (CE) n. 302 del 2009, con il quale sono stati stabiliti i principi generali per la sua applicazione da parte dell’Unione europea.

In particolare, ai sensi dell’art. 4, ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie per assicurare che lo sforzo di pesca delle sue navi da cattura e delle sue tonnare sia commisurato alle quote di pesca di tonno rosso assegnate ed a tal fine lo Stato interessato redige un piano di pesca annuale per le navi da cattura e le tonnare praticanti la pesca del tonno rosso, che viene trasmesso entro il 31 gennaio di ogni anno alla Commissione europea.

La ripartizione del TAC attribuito all’Italia con i regolamenti UE tra i diversi sistemi di pesca autorizzati è stata operata con il Decreto Ministeriale del 20 aprile 2018.

Di talché, il quantitativo totale di tonno rosso pescabile nel territorio nazionale costituisce un dato esogeno, in quanto stabilito a livello europeo, mentre l’Autorità statale è tenuta ad esercitare un doppio livello di discrezionalità nella ripartizione interna, tra i diversi sistemi di pesca, del quantitativo totale, e, nell’ambito di ogni sistema, tra le singole imbarcazioni, del quantitativo attribuito al sistema stesso.

Un primo livello di discrezionalità, quindi, è esercitato con riferimento alla ripartizione del TAC tra i vari sistemi di pesca, mentre un secondo livello di discrezionalità, una volta ripartito il TAC tra i diversi sistemi, è esercitato nella ripartizione tra le imbarcazioni autorizzate delle quote individuali all’interno di ogni singolo sistema.

In altri termini, lo Stato membro non ha alcuna discrezionalità nello stabilire il quantitativo massimo di tonno rosso pescabile nei propri mari (TAC), essendo questo un dato esogeno, stabilito dall’Unione Europea, mentre esercita potestà discrezionale nel suddividere le quote di cattura tra i diversi sistemi di pesca e tra le singole unità autorizzate all’interno dei singoli sistemi.

Lo Stato Italiano ha dunque deciso di mantenere inalterato il principio di stabilita’ relativa, come fissato dal decreto ministeriale 27 luglio 2000 e storicamente consolidatosi, nonche’ di garantire, nel lungo periodo, certezza alle imprese di pesca interessate.

Ma, secondo l’Unione Europea, i diversi Paesi sono tenuti a utilizzare criteri trasparenti e oggettivi nella ripartizione del contingente nazionale tra i pescatori.

Nella raccomandazione Iccat 17/07 si è stabilito che ogni Paese redigerà un piano di pesca annuale per i pescherecci di cattura e per le tonnare fisse che praticano la pesca del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo. Nel piano annuale di pesca saranno individuate le quote assegnate ad ogni gruppo, il metodo utilizzato per l’assegnazione e la gestione delle quote, nonché le misure previste per garantire il rispetto delle quote individuali e la cattura accidentale.

Posta la questione in questi termini, la Regione Siciliana ha deciso di impugnare (con delibera 205 del 23 maggio scorso) i due decreti emessi dal Ministero delle Politiche Agricole, con i quali si sono ripartiti i contingenti nazionali di cattura del tonno rosso.

La ragione del ricorso si fonda soprattutto sul contrasto dei due decreti ministeriali rispetto a quanto previsto dall’art. 8 del Regolamento Ue n. 1627/2016 secondo il quale in sede di assegnazione delle possibilità di pesca a loro disposizione, gli Stati membri utilizzano criteri trasparenti e oggettivi anche di tipo ambientale, sociale ed economico e si adoperano inoltre per ripartire equamente i contingenti nazionali tra i vari segmenti di flotta tenendo conto della pesca tradizionale e artigianale nonché per prevedere incentivi per le navi da pesca dell’Unione che impiegano attrezzi da pesca selettivi o che utilizzano tecniche di pesca caratterizzate da un ridotto impatto ambientale.

Il precedente Regolamento Ue n. 1380/2013 aveva (ancor più chiaramente) stabilito che in sede di assegnazione delle possibilità di pesca a loro disposizione, gli Stati membri utilizzassero criteri trasparenti e oggettivi anche di tipo ambientale, sociale ed economico. Tra i criteri da applicare potevano figurare, tra l’altro, l’impatto della pesca sull’ambiente, i precedenti in termini di conformità, il contributo all’economia locale e i livelli storici di cattura.

Il contrasto tra i decreti ministeriali e i Regolamenti Ue si è tradotto così in una grave lesione del principio di libera concorrenza, dato che un numero ristrettissimo di imbarcazioni detiene una posizione dominante sul mercato, peraltro non modificabile considerato che non è consentito l’accesso di nuove imprese. L’assegnazione delle quote è infatti bloccata al 2000, sulla base delle quantità di pesca registrate nel quadriennio 1994-1998.

Ed è proprio la pesca artigianale a subire la discriminazione più grave.

La situazione descritta ha bisogno di un intervento di correzione che deve passare dai seguenti atti:

a) introduzione di un meccanismo di riassegnazione originaria delle quote che superi quello stabilito nel 2000 e consenta di aggiornare nell’attualità i parametri, al fine di consentire l’ingresso nel mercato di nuove imprese di tipo artigianale, con l’eliminazione graduale delle rendite di posizione e con un sistema redistributivo (anche a livello regionale) a favore della pesca con il sistema palangaro. In tale contesto va superato il principio della c.d. stabilità relativa, che ha garantito sino ad oggi solo il sistema a circuizione, produttivo di gravi squilibri ed inefficienze a livello di sostenibilità e mercato locale. Si potrebbero per esempio valorizzare i dati storici sulla pesca accidentale per assegnare quote nei comparti in cui questa è risultata statisticamente più rilevante.

b) avvio di un procedimento istruttorio da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza, affinché sia verificata e sancita ufficialmente la violazione (o meno) del principio di libera concorrenza

La pesca artigianale dovrebbe dunque, da un lato sostenere l’impugnazione proposta dalla Regione Siciliana anche con un intervento in giudizio nel ricorso che si sta proponendo; dall’altro inoltrare un esposto presso l’Autorità Garante della Concorrenza; e – infine – far valorizzare (a livello politico) il punto 3 del Contratto di Governo stipulato da Movimento 5 Stelle e Lega laddove si afferma che con riferimento alla pesca occorre intervenire per dare un concreto aiuto e un sostegno alla piccola pesca, e riconsiderare in sede europea i vincoli e le direttive impartite al settore per meglio salvaguardare la pesca italiana.

Avv. Vittorio Fiasconaro