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Licenze di uso delle armi: le ultime novità.

Tra le novità giurisprudenziali in materia di rilascio di licenza per uso delle armi, tre sentenze, in particolare, meritano di essere passate in rassegna.

1.

La prima delle pronunce oggetto di analisi ( n. 1314 del 2018 del Tar Sicilia – sede di Palermo) affronta una spinosa questione: è legittimo respingere l’istanza volta al rilascio di licenza di porto di fucile presentata da un soggetto incensurato e non pericoloso solo perchè i familiari dello stesso risultino essere affiliati a una cosca mafiosa?

Il Giudice Amministrativo ha fornito risposta negativa al predetto quesito, alla luce delle seguenti argomentazioni.

La base normativa di riferimento è costituita dal combinato disposto degli articoli 11, 39 e 43 del r.d. n. 773 del 1931 (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza).

Dalla analisi degli articoli sopra citati emerge che l’autorità amministrativa debba negare le autorizzazione aventi ad oggetto l’uso di armi:

in tutti i casi in cui è fatto divieto di rilasciare autorizzazioni di polizia, ai sensi dell’articolo 11 T.U.L.P.S.;

nei casi di cui all’articolo 43 T.U.L.P.S , relativo alle autorizzazioni in materia di armi (consistenti nell’aver riportato condanne penali o essere stato destinatario di misure di sicurezza);

in tutti i casi in cui si ritiene che la persona possa abusare dell’arma, ai sensi della clausola generale di cui all’articolo 39 T.U.L.P.S.

Invero, a detta del Tar, il diniego di rilascio della licenza di uso di fucile deve fondarsi unicamente su circostanze relative alla persona che richiede l’autorizzazione, e non in base a situazioni riguardanti soggetti terzi, anche nell’ipotesi di vicinanza dei parenti dell’istante alla consorteria mafiosa.

A sostegno della sua decisione, il Giudice Amministrativo richiama quanto affermato dalla giurisprudenza consolidata, secondo la quale “costituisce jus receptum l’affermazione secondo cui la mera sussistenza di un rapporto di parentela o d’affinità con un soggetto pregiudicato ma non convivente non è, di per sé e in assenza di ulteriori elementi, indice di una capacità di abuso delle armi”.

2.

Diversa è la problematica affrontata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3435 del 2018, avente ad oggetto l’individuazione della corretta interpretazione del già citato articolo 43 del T.U.L.P.S. In particolare, l’organo giurisdizionale si è interrogato sulla seguente questione: può essere concessa licenza di porto d’armi a chi abbia riportato condanne per determinati reati, ai sensi dell’articolo 43 T.U.L.P.S. ma rispetto a cui sia sopravvenuta la riabilitazione?

Il Consiglio di Stato nella pronuncia di cui sopra ha affermato il principio per cui l’eventuale riabilitazione non comporta il venir meno del divieto di cui all’articolo 43 T.U.L.P.S..

La motivazione posta a fondamento della decisione poggia su argomentazioni letterali e sistematiche: non solo l’articolo 43 di cui sopra non menziona la riabilitazione come circostanza idonea a far venir meno l’automatismo tra condanna e divieto di uso di armi (al contrario dell’articolo 11 del T.U.L.P.S., che fa espressamente salva l’ipotesi della riabilitazione) ma, inoltre, le licenze aventi ad oggetto l’uso di armi costituiscono una eccezione al divieto di cui all’articolo 699 del codice penale, ragion per cui l’enunciato dell’articolo va interpretato restrittivamente, costituendo eccezione a una regola di ordine generale.

A sostegno di quanto affermato, il Consiglio di Stato richiama quanto sostenuto dalla Corte Costituzionale: “il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi e che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il ‘buon uso’ delle armi stesse

3.

Per completezza espositiva, giova evidenziare che sull’articolo 43 del T.U.L.P.S. pende una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tar del Friuli Venezia Giulia (ordinanza n. 190 del 2018), il quale dubita della conformità alla Carta Fondamentale della predetta disposizione.

In particolare, il Giudice rimettente ha sollevato la questione rispetto all’articolo 3 della Costituzione “per contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza nella parte in cui l’articolo 43 prevede un generalizzato divieto di rilasciare il porto d’armi alle persone condannate a pena detentiva per il reato di furto senza consentire alcun apprezzamento discrezionale all’Autorità amministrativa competente”.

Ove tale questione venisse accolta, verrebbe espunto dall’ordinamento l’automatismo sotteso al binomio “condanna – divieto rilascio di licenza per uso delle armi” e la autorità amministrativa sarebbe tenuta a esercitare il proprio potere discrezionale caso per caso, potendo, quindi, decidere di accogliere l’istanza di rilascio di porto di armi (anche) nel caso di sopravvenienza della riabilitazione e in tutti o casi in cui si verifichino altre situazioni che rendano il soggetto meritevole di un provvedimento positivo.

Tale ordinanza di rimessione si innesta nell’ambito delle questioni di legittimità costituzionale in materia di automatismi sanzionatori, molte delle quali sono state accolte dalla Corte Costituzionale.

Come è noto, infatti, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di determinate disposizioni che prevedevano l’automatica irrogazione di un determinato trattamento sanzionatorio a fronte di particolati situazioni in assenza di una valutazione discrezionale dell’organo giurisdizionale che prendesse in considerazione le peculiarità del caso di specie (a titolo esemplificativo, si pensi alla sentenza n. 251 del 2012 della Corte Costituzionale, con la quale è stata dichiarata la incostituzionalità dell’articolo 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge n. 251 del 2005 nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 sull’aggravante della recidiva reiterata – quarto comma dell’art. 99 c.p.).

Dottoressa Ornella Mineo

Avvocato Vittorio Fiasconaro